Il restauro
Il restauro della Statua della Madonna di Piazza Grande, affidato allo studio Gabrieli-Traversi di Bergamo, venne eseguito tra il 1991 ed il 1992. In occasione del restauro vennero realizzate analisi approfondite i cui risultati sono stati raccolti in una serie di documenti conservati nell'archivio del Comitato. In tale archivio sono presenti i seguenti documenti redatti dallo studio Gabrieli-Traversi: Relazione tecnica sullo stato di conservazione e la metodologia di restauro della Madonna di Piazza Grande, inviata ai committenti in data 4 dicembre 1990; Considerazioni sulla costruzione della statua della Madonna di Piazza Grande, datata 14 febbraio 1992 e Relazione finale sullo stato di conservazione e la metodologia di restauro della Madonna di Piazza Grande, consegnata al Comitato in data 3 dicembre 1992,
Inoltre nell'archivio del Comitato è conservata la trascrizione dell'intervento tenuto dalla restauratrice durante la presentazione del restauro il 7 novembre 1992. Furono anche consegnate al Comitato una Relazione del 29 ottobre 1991, stesa in collaborazione da Syremont e C.N.R. e Centro "Gino Bozza", ed una Relazione realizzata dal C.N.R. nel dicembre 1991, entrambe commissionate da Anna Maria Garofoli de Paoli. Le analisi eseguite si sono rivelate naturalmente preziose per orientare il restauro, fornendo notizie rilevanti sulle integrazioni e sulle ridipinture presenti sul manufatto. Si evidenziò ad esempio che erano stati rifatti il braccio sinistro del Bambino, il globo ed alcune "riprese" in stucco sul risvolto del manto e sulla veste della Madonna.
Nella prima fase dell'intervento venne creata una struttura portante per la statua, appositamente realizzata. Sono state rimosse le ridipinture che appesantivano le superfici, allo scopo di recuperare la cromia originaria secentesca. In parte è stato possibile recuperare la cromia originaria di cui restavano tracce negli incarnati e nella veste rosa della Madonna, nei quali si è riscontrata la presenza di minio, biacca e ocra rossa, pigmenti già utilizzati in tempi antichi.
Il volto della Madonna, le sue mani ed il corpo del Bambino sono stati liberati dalle varie ridipinture che ne alteravano l'aspetto: ad esempio un piede del Bambino era stato scambiato per una piega del manto della Madonna. Il velo, il colletto e il risvolto del manto della Madonna sono risultati completamente bianchi, mentre problemi ha suscitato il manto blu della Madonna, in cui le analisi non riuscirono a trovare nessun pigmento antico. In questo caso la decisione fu quella di rimuovere completamente i vari strati di azzurro, conservando solo alcune tracce brunastre, testimonianza dello strato preparatorio per il colore originario, ormai scomparso. Per non alterare l'estetica del manufatto la superficie del manto è stata velata leggermente con l'acquarello azzurro.
Alcune integrazioni in malta e in gesso sono state sostituite con integrazioni a base di grassello e polvere di marmo bianco, impasto con cui sono state anche sigillate le crepe presenti in diversi punti del manufatto e con cui è stata ricostruita la croce del mappamondo, Dopo due anni dagli esami propedeutici, le operazioni di restauro si sono concluse con il recupero del manufatto e inoltre con interessanti scoperte sulle tecniche di fabbricazione della statua stessa.
Nel documento "Considerazioni sulla costruzione della statua della Madonna di Piazza Grande", del 14 febbraio 1992, la restauratrice Alda Traversi afferma che la statua della Madonna era stata modellata partendo da un'armatura di cilindri in terracotta, infilati su bastoni di legno, attorno ai quali erano state scolpite le prime forme con una malta a base di calce e sabbia del Ticino. Al di sopra di questo primo strato grossolano, detto abbozzo, le analisi avevano rivelato la presenza di tre differenti situazioni:
- Uno strato di stucco bianco finale
- Uno strato di semifinitura a base di cocciopesto, ricoperto da stucco bianco
- Uno strato di semifinitura, a cocciopesto, ricoperto da un grosso strato di malta e sopra lo stucco bianco finale
Quali sono le deduzioni che la restauratrice ricavò da tale scoperta? Non avendo nessun dato che fornisse la soluzione sicura al piccolo "giallo" storico-artistico la signora Traversi propose due possibili chiavi di lettura.
Prima ipotesi: l'autore cominciò a modellare una statua più piccola dell'attuale, che avrebbe dovuto essere costruita con tre diversi strati: l'abbozzo, il cocciopesto e lo stucco e che sarebbe stata destinata ad essere esposta all'aperto, in quanto la malta a cocciopesto è particolarmente resistente. Per un ripensamento in corso d'opera, lo scultore dovette ingrandire la statua in alcuni punti ed aggiunse così altra malta sopra lo strato di cocciopesto. Sopra questi punti e su quelli non ancora finiti al momento del "ripensamento", e perciò privi dello strato intermedio di cocciopesto, l'autore applicò lo stucco finale.
Seconda ipotesi: la statua venne modellata, ma non finita, da un autore che usava la tecnica dei tre strati e fu terminata da un altro scultore che utilizzò invece il metodo classico dei due strati, l'abbozzo e lo stucco.